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STORIA E ARCHEOLOGIA
 

Sulle pareti di gesso cristallino della collina di Sant’Angelo, tantissime sono le tombe rinvenute. Gran parte di esse sono di forma rotonda a pseudo-cupola conica, detta a Tholos e richiamano le costruzioni funebri principesche della Grecia micenea. Generalmente contenevano un gran numero di cadaveri (in una furono ritrovati 35 teschi) e ciò fa pensare ad un uso domestico o dinastico.
Fra queste tombe la più monumentale è la “Grotta del Principe”, formata da due grandi camere circolari comunicanti; una anteriore molto grande (diam. m. 8,8) e la seconda più internata e di dimensioni più ridotte, presenta intagliato nella roccia un lettuccio funebre.
E’chiamata anche “Grotta Sant’Angelo”, dal nome del santo protettore che secondo la tradizione avrebbe scelto la grotta per il suo eremitaggio dopo averla liberata dal demonio.

Dei diversi ritrovamenti archeologici in Sant’Angelo Muxaro si ha notizia sin dal ‘700, dopo che nella collezione privata del Vescovo Mons. Lucchesi Palli comparvero quattro coppe d’oro provenienti da quest’area di cui due decorate con figure di tori disposti tutt’attorno ad un omphalos centrale. Di questi stessi oggetti se ne parla in diversi scritti di viaggiatori che qui fecero tappa, come il Principe di Biscardi (Viaggio per tutte le antichità della Sicilia) , il Barone Von Riedesel e il pittore francese Jean Houel che oltre a descrivere gli oggetti con un disegno, accenna anche al posto del ritrovamento: “au found d’un tombeau, dans un village antique aujourd’hui appellé Sant’Angelo”. Sempre grazie a Houel si è appreso che al momento della sua visita solo una delle due coppe era presente, poichè l’altra era stata venduta ad un inglese, passando successivamente alla collezione di Lord William Hamilton, ambasciatore presso il regno delle due Sicilie, per giungere e restare tutt’ora al British Museum.

Intorno all’800 circa Sant’Angelo Muxaro assume una posizione di particolare rilevanza nel contesto del panorama archeologico siciliano dato che nella parte più bassa della collina che volge a mezzogiorno come anche in altri punti non proprio limitrofi al monte di Sant’Angelo, contadini del posto scavarono decine di tombe rinvenendo oggetti, vasi e materiale archeologico in numero incalcolabile.
I contadini del luogo caricavano tali reperti in apposite ceste e con muli ed asini, percorrendo antichi sentieri e trazzere li portavano ai mercati di Agrigento e Palermo. Molti di questi oggetti finivano a far parte di collezioni private altri nei musei delle città. Di particolare importanza nel 1927, fu il ritrovamento ad opera di uno dei contadini santangelesi, di un pesante anello d’oro (32.5 gr.) oggi esposto al museo regionale di Siracusa, con castone ellittico raffigurante una vacca che allatta un vitellino.

L’ importanza del centro e dei ritrovamenti suscitò l’attenzione di tanti studiosi, primo tra tutti Paolo Orsi, il più grande archeologo della Sicilia di quegli anni.
Questi, dopo aver condotto esplorazioni nelle altre necropoli indigene siciliane, come Pantalica, Cassibile ecc…,sognava di poter esplorare anche l’area di Sant’Angelo Muxaro. Partì, cosi, una fortunatissima campagna di scavi che durò dal 1931 al 1932 e nella quale l’Orsi potè contare sulla preziosa collaborazione di Umberto Zanotti Bianco. Gli scavi iniziarono sulla parte Sud-Est del colle e in poche settimane si riportò alla luce un patrimonio inestimabile: tombe pre-protostoriche (XII-V sec. a.C.) grandissime, monumentali, senza eguali in tutta la Sicilia, ricche di corredi funebri e metallici.

La più importante per monumentalità, è la “Grotta del Principe” o “Grotta Sant’Angelo”.
Nello stesso costone, fu anche rinvenuto un gruppo di sei tombe a tholos, tutte nella parte alta del colle. Altre dodici, infine, di dimensioni più ridotte a semplice grotticella erano poste giù in basso sul costone di una “regia trazzera”. Tantissimo il materiale rinvenuto in queste grotte. Del sepolcro V lo stesso Orsi così scrisse: “ una monocella a cupola con serraglia rovesciata in cavo, di mt. 4,60/4,75 di diametro e mt. 2,95 di altezza: un letto funebre con cozzale a gradinetto di piccoli massi nel senso della lunghezza, letto coperto da una coltre funebre formata da un sottile strato di gesso lucente e trasparente formatosi con gli stillicidi nei secoli; attraverso questa coltre vetrificata s’intravedono le briciole di due scheletri decomposti messi uno a rincalzo dell’altro e di essi uno adagiato sul capezzale roccioso anzi più esattamente sugli avanzi decomposti di un capezzale igneo decorato di occhi di dado e di punte di cuspidi; preziosa reliquia di cui un solo frammento pervenimmo a salvare. Ma v’era di meglio: alla mano sinistra di uno dei due morti, o rispettivamente alla destra dell’altro, s’intravedeva sotto un grumo cristallino, il grosso e pesante (54,8 gr.) anello submiceneo colla rappresentanza ad intaglio profondo, condotto in maniera molto realistica, di un lupo coi suoi unghioni, con tracce di rosso (forse erano dei suggelli) nel cavo; donde ci piacque assegnare questo insigne sepolcro alla tribù del lupo. Ai piedi del cadavere una grossa kotyle ed una salierina nero ebano nonché un boccale panciuto a fasce nere”.

All’interno della stessa tomba, sicuramente la piu ricca, furono oltre cento gli oggetti rinvenuti di cui ottanta sette vasi in ceramica e numerosi rottami. E comunque anche le tombe minori furono trovate colmi di vasi, crani, ossa e corredi funebri. Nel 1976 l’Istituto di Archeologia dell’Università di Catania sotto la direzione del Prof. Giovanni Rizza e in collaborazione con la Sovrintendenza alle Antichità di Agrigento riprese le ricerche a Sant’Angelo Muxaro e effettuò degli scavi. Uno degli scavi presso la necropoli, permise di rinvenire una tomba detta “A”, ancora intatta. Mt. 3,30/2,10 di diametro circa e di mt. 2,10 di altezza. In quella occasione vennero riportate alla luce cinquanta vasi, fibule di bronzo e di ferro e un gran numero di cadaveri. I vasi di produzione indigena risultarono molto particolari ed interessanti poiché peculiari della cultura e lo stile propri della ceramica di Sant’ Angelo Muxaro. La necropoli del monte di Sant’Angelo Muxaro rappresenta la parte più esterna di un sito archeologico molto più ampia. Essa assume una posizione tale da far pensare ad una barriera insormontabile posta a protezione di una più importante area, quella del “Monte Castello”, sulla cui sommità pianeggiate gli studiosi sono ormai concordi nel collocare la sede dell’antica e mitica fortezza dei Sicani: Kamikos. Qui sono state rinvenute centinaia di tombe, sia a tholos che a forno.

Le più spettacolari risultano sicuramente le cosiddette “Grotticelle”: un’alveare di tombe scavate nella roccia. Dall’area di Monte Castello, inoltre, provengono diversi importanti ritrovamenti tra cui, il famoso l’anello con la vacca che allatta il vitellino. Tutto il materiale archeologico riportato alla luce dal territorio santangelese si trova oggi custodito nei musei di Sicarusa, Palermo, Agrigento, mentre al British Museum di Londra si trova la coppa d’oro decorata a sbalzi raffiguranti sei torelli a circolo. I due anelli d’oro, uno con la figura del lupo e l’altro con la figura della vacca e la coppa, rappresentano un raro tesoro di oreficeria di manifattura indigena, con richiami a modelli minoico-micenei. Questi ori, insieme all’incalcolabile quantitativo di materiale archeologico, la particolarità dell’architettura funeraria riscontrata nel territorio santangelese e il richiamo all’ambiente egeo ci conducono al potente popolo dei “Sicani”. Proprio in questa valle i Sicani riuscirono a rafforzare la loro presenza, controllando il traffico di merci e di prodotti di vitale importanza e riuscendo anche a vigilare sulle vie di comunicazione interne, come il fiume Platani, che dalla costa africana si spingevano verso l’interno della Sicilia assumendo, di conseguenza, un ruolo strategicamente nevralgico per gli equilibri economici e politici di quei tempi. Qui i Sicani costruirono la capitale del loro regno: la mitica e forte “Kamikos del re Kokalos”, identificata oggi in Sant’Angelo Muxaro.